sabato 26 novembre 2011

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI ALLA CARITAS ITALIANA NEL 40° DI FONDAZIONE


DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA CARITAS ITALIANA NEL 40° DI FONDAZIONE
Basilica Vaticana
Giovedì, 24 novembre 2011

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Con gioia vi accolgo in occasione del 40° anniversario dell’istituzione della Caritas Italiana. Vi saluto con affetto, unendomi al ringraziamento dell’intero Episcopato italiano per il vostro prezioso servizio. Saluto cordialmente il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ringraziandolo per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto Mons. Giuseppe Merisi, Presidente della Caritas, i Vescovi incaricati delle diverse Conferenze Episcopali Regionali per il servizio della carità, il Direttore della Caritas Italiana, i direttori delle CaritasDiocesane e tutti i loro collaboratori.
Siete venuti presso la tomba di Pietro per confermare la vostra fede e riprendere slancio nella vostra missione. Il Servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: «Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica» (Insegnamenti X [1972], 989). A voi, infatti, è affidato un’importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce (cfr Fil 2,15). Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità. Sono le parole dell’apostolo Paolo ad illuminare questa prospettiva: «Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata. Perché in Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,5-6). Questo è il distintivo cristiano: la fede che si rende operosa nella carità. Ciascuno di voi è chiamato a dare il suo contributo affinché l’amore con cui siamo da sempre e per sempre amati da Dio divenga operosità della vita, forza di servizio, consapevolezza della responsabilità. «L’amore del Cristo infatti ci possiede» (2 Cor 5,14), scrive san Paolo. E’ questa prospettiva che dovete rendere sempre più presente nelle Chiese particolari in cui vivete.
Cari amici, non desistete mai da questo compito educativo, anche quando la strada si fa dura e lo sforzo sembra non dare risultati. Vivetelo nella fedeltà alla Chiesa e nel rispetto dell’identità delle vostre Istituzioni, utilizzando gli strumenti che la storia vi ha consegnato e quelli che la «fantasia della carità» – come diceva il beato Giovanni Paolo II – vi suggerirà per l’avvenire. Nei quattro decenni trascorsi, avete potuto approfondire, sperimentare e attuare un metodo di lavoro basato su tre attenzioni tra loro correlate e sinergiche: ascoltare, osservare, discernere, mettendolo al servizio della vostra missione: l’animazione caritativa dentro le comunità e nei territori. Si tratta di uno stile che rende possibile agire pastoralmente, ma anche perseguire un dialogo profondo e proficuo con i vari ambiti della vita ecclesiale, con le associazioni, i movimenti e con il variegato mondo del volontariato organizzato.
Ascoltare per conoscere, certo, ma insieme per farsi prossimo, per sostenere le comunità cristiane nel prendersi cura di chi necessita di sentire il calore di Dio attraverso le mani aperte e disponibili dei discepoli di Gesù. Questo è importante: che le persone sofferenti possano sentire il calore di Dio e lo possano sentire tramite le nostre mani e i nostri cuori aperti. In questo modo le Caritas devono essere come “sentinelle” (cfr Is 21,11-12), capaci di accorgersi e di far accorgere, di anticipare e di prevenire, di sostenere e di proporre vie di soluzione nel solco sicuro del Vangelo e della dottrina sociale della Chiesa. L’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento.
Scorrendo le pagine del Vangelo, restiamo colpiti dai gesti di Gesù: gesti che trasmettono la Grazia, educativi alla fede e alla sequela; gesti di guarigione e di accoglienza, di misericordia e di speranza, di futuro e di compassione; gesti che iniziano o perfezionano una chiamata a seguirlo e che sfociano nel riconoscimento del Signore come unica ragione del presente e del futuro. Quella dei gesti, dei segni è una modalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso i segni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande. Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare. Rendetele, per così dire, «parlanti», preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nascono dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione verso chi fa più fatica. Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveri a crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nella sequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i propri obblighi. Ricordiamo quanto insegna il Concilio Vaticano II: «Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8). L’umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà.
Fin dall’inizio del vostro cammino pastorale, vi è stato consegnato, come impegno prioritario, lo sforzo di realizzare una presenza capillare sul territorio, soprattutto attraverso le Caritas Diocesane e Parrocchiali. È obiettivo da perseguire anche nel presente. Sono certo che i Pastori sapranno sostenervi e orientarvi, soprattutto aiutando le comunità a comprendere il proprium di animazione pastorale che la Caritas porta nella vita di ogni Chiesa particolare, e sono certo che voi ascolterete i vostri Pastori e ne seguirete le indicazioni.
L’attenzione al territorio e alla sua animazione suscita, poi, la capacità di leggere l’evolversi della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive. La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previsione, un «cuore che vede» (cfr Enc. Deus caritas est, 25). Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano. È in questa prospettiva che l’oggi interpella il vostro modo di essere animatori e operatori di carità. Il pensiero non può non andare anche al vasto mondo della migrazione. Spesso calamità naturali e guerre creano situazioni di emergenza. La crisi economica globale è un ulteriore segno dei tempi che chiede il coraggio della fraternità. Il divario tra nord e sud del mondo e la lesione della dignità umana di tante persone, richiamano ad una carità che sappia allargarsi a cerchi concentrici dai piccoli ai grandi sistemi economici. Il crescente disagio, l’indebolimento delle famiglie, l’incertezza della condizione giovanile indicano il rischio di un calo di speranza. L’umanità non necessita solo di benefattori, ma anche di persone umili e concrete che, come Gesù, sappiano mettersi al fianco dei fratelli condividendo un po’ della loro fatica. In una parola, l’umanità cerca segni di speranza. La nostra fonte di speranza è nel Signore. Ed è per questo motivo che c’è bisogno della Caritas; non per delegarle il servizio di carità, ma perché sia un segno della carità di Cristo, un segno che porti speranza. Cari amici, aiutate la Chiesa tutta a rendere visibile l’amore di Dio. Vivete la gratuità e aiutate a viverla. Richiamate tutti all’essenzialità dell’amore che si fa servizio. Accompagnate i fratelli più deboli. Animate le comunità cristiane. Dite al mondo la parola dell’amore che viene da Dio. Ricercate la carità come sintesi di tutti i carismi dello Spirito (cfr 1 Cor 14,1).
Sia vostra guida la Beata Vergine Maria che, nella visita ad Elisabetta, portò il dono sublime di Gesù nell’umiltà del servizio (cfr Lc 1,39-43). Io vi accompagno con la preghiera e volentieri vi imparto la Benedizione Apostolica, estendendola a quanti quotidianamente incontrate nelle vostre molteplici attività. Grazie.

UNA SETTIMANA AL SERMIG DI TORINO


UNA SETTIMANA AL SERMIG DI TORINO
Esperienza dei ragazzi in servizio civile nella Caritas di Senigallia  vissuta a fine ottobre

Quando entri nell' Arsenale della Pace, in piazza Borgo Dora a Torino, ti sembra di trovarti in un' oasi, isolata e del tutto discordante con il resto della città e con il quartiere circostante, che gode di una reputazione pessima.
L' immensa struttura, una vecchia fabbrica di armi della seconda guerra mondiale, all' esterno rude e apparentemente in rovina, ospita in realtà un ambiente cordiale, ospitale e fraterno, che ti fa sentire subito parte di quella che è l' anima del Sermig (servizio missionario giovani), e cioè le persone che ne fanno parte.
La nostra settimana qui inizia così, con alcune perplessità su quello che avremmo trovato, affrontato e vissuto. Un membro della fraternità della speranza (così è definito il gruppo di persone che ha scelto di fare del' arsenale la propria casa e del Sermig il fulcro della propria vita) ci accoglie a braccia aperte e ci introduce in quella che è l' ospiteria, una sorta di "mini-albergo" dove vengono ospitati studenti universitari, famiglie con bambini con difficoltà, o ragazzi che come noi scelgono di passare del tempo all'arsenale.
Il tempo di sistemare le valigie e veniamo subito accompagnati in una delle mense, tutte al servizio sia degli ospiti che dei volontari. Dopo il pranzo ci aspetta un giro di esplorazione; l' arsenale è veramente immenso, al suo interno troviamo un centro di accoglienza femminile, uno maschile, e uno per rifugiati politici,sale riunioni, uffici, un ampio cortile ornato di edera su tutte le facciate, un attrezzatissimo studio di registrazione e persino una piccola università per artigiani e restauratori, oltre a varie strutture di servizio alla persona. Proprio queste strutture hanno colpito la nostra attenzione: in primo luogo l' insieme di ambulatori medici specializzati, attrezzatissimi e usufruibili da tutti con un simbolico contributo di 1 euro; poi l' asilo nido del' arsenale, che ospita bambini di varie nazionalità per favorire una maggiore integrazione tra le famiglie, che attraverso i loro piccoli trovano un importante chiave di dialogo.
Dentro l' arsenale regna un clima di estrema cordialità tra tutti: i membri della fraternità fanno di tutto per farti sentire accolto. Partecipiamo al loro incontro del martedì, in cui si affronta un preciso tema di attualità e si aprono le porte dell' arsenale a tutta la città e ci accompagnano addirittura in una parrocchia vicina, dove partecipiamo ad un incontro con Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, momento di grande profondità e che ci permette di riflettere a fondo su quello che può essere il nostro ruolo per un mondo migliore.
Per tutta la settimana svolgiamo alcune ore al giorno di servizio (smistamento di vestiti, di cibi o organizzazione di incontri per gruppi delle scuole),che ci fanno capire bene qual è in realtà il punto di inizio di tutte le attività del Sermig, e cioè il fornire aiuti concreti alle persone in difficoltà e a chi a sua volta si imbarca in missioni di pace e di aiuto.
A fine settimana, stanchi ma contenti, ce ne torniamo a casa con il nostro nuovo bagaglio di esperienze fatte in questi giorni, sguardi che ci hanno riempito il cuore e la consapevolezza che anche partendo da poco, se ci si crede, si può costruire tanto. Basti pensare che il gruppo fondatore del Sermig all’inizio era composto da sole 20 persone, non aveva una sede, e non disponeva di finanziamenti o dell'appoggio di figure importanti. Oggi, il Sermig ha due altre sedi oltre a quella di Torino, in Brasile e in Giordania, supporta missioni in diverse parti del mondo oltre a fornire aiuti e beni di prima necessità direttamente alle persone. La parte dell' arsenale adibita al Sermig (solamente i 2/3 del' area totale del' arsenale) è di circa 30000 mq. I lavori di ristrutturazione dell' arsenale e in generale gli aiuti e le finanze che permettono al Sermig di operare bene arrivano per il 93% da donazioni di gente comune.
Qui a casa continueremo a svolgere nel piccolo il nostro servizio, con la convinzione che se siamo i primi a credere nel nostro sogno fino in fondo possiamo coinvolgere anche gli altri nel cammino per farlo diventare realtà. 

mercoledì 16 novembre 2011

CAMPAGNA L'ITALIA SONO ANCH'IO: Discorso del presidente Giorgio Napolitano


"Senza il contributo dei nuovi cittadini anche il fardello del debito pubblico sarebbe più difficile da sostenere”

"Sono convinto che i bambini e i ragazzi venuti con l'immigrazione facciano parte integrante dell'Italia di oggi e di domani, e rappresentino una grande fonte di speranza. Si tratta di una presenza che concorre ad alimentare quell'energia vitale di cui oggi l'Italia ha estremo bisogno". Lo ha detto il Presidente Napolitano in occasione dell'incontro con i nuovi cittadini italiani celebrato al Quirinale nell'ambito del 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Per il Capo dello Stato, "non comprendere la portata del fenomeno migratorio e non capire quanto sia necessario il contributo dell'immigrazione per il nostro Paese significa semplicemente non saper guardare alla realtà e al futuro. Senza il loro contributo futuro alla nostra società e alla nostra economia, anche il fardello del debito pubblico sarebbe ancora più difficile da sostenere".
"Negli ultimi 20 anni, tra il 1991 e il 2011, il numero dei residenti stranieri è aumentato di 12 volte. Tuttavia gli immigrati che sono diventati cittadini sono ancora relativamente pochi, anche se negli ultimi 10 anni c'è stato un notevole incremento. All'interno dei vari progetti di riforma delle norme sulla cittadinanza, la principale questione aperta - ha ricordato il Presidente della Repubblica - rimane oggi quella dei bambini e dei ragazzi. Molti di loro non possono considerarsi formalmente nostri concittadini perché la normativa italiana non lo consente, ma lo sono nella vita quotidiana, nei sentimenti, nella percezione della propria identità".
Per il Presidente Napolitano, "è opportuno tenere presente che i ragazzi di origine immigrata nella scuola e nella società sono non solo una sfida da affrontare, ma anche una fonte di stimoli fruttuosi, proprio perché provengono da culture diverse. E non deve preoccupare il fatto che la loro sia un'identità complessa, non necessariamente unica, esclusiva. Se noi desideriamo che i figli e persino i nipoti o pronipoti dei nostri cittadini emigrati all'estero mantengano un legame con l'Italia e si sentano in parte anche e ancora italiani, non possiamo chiedere invece ai ragazzi che hanno genitori nati in altri paesi di ignorare le proprie origini. L'importante - ha affermato - è che vogliano vivere in Italia e contribuire al benessere collettivo condividendo lingua, valori costituzionali, doveri civici e di legge del nostro paese".
Quindi, "dobbiamo essere fieri del fatto che, pur mantenendo un legame con le origini, essi esprimano la volontà di diventare italiani. Questo, infatti, rappresenta un'attestazione importante di stima e fiducia nei confronti del nostro Paese. Dobbiamo sentire una forte responsabilità e un preciso dovere di non deludere questa fede nell'Italia".
E il Presidente ha auspicato che l'Italia diventi "il più rapidamente possibile un paese aperto ai giovani: nel lavoro, nelle professioni, nelle imprese, nelle istituzioni. Le classi dirigenti italiane e quelle europee, non devono mai dimenticare la responsabilità che hanno verso i giovani, verso il loro presente e per il loro futuro. E dall'attenzione al destino dei giovani non vanno esclusi i ragazzi stranieri, i futuri nuovi italiani ai quali, qualunque sia la loro origine, bisogna offrire opportunità non viziate da favoritismi. Occorre smontare la convinzione che la nostra sia una società nella quale le occasioni sono riservate solo a chi appartenga a certi ambienti, solo a chi abbia i contatti giusti".
Bisogna, invece, "valorizzare il merito", "far funzionare quell'ascensore sociale che è rimasto troppo a lungo bloccato"; mettere "il merito e l'impegno al centro delle politiche, perché valorizzare il merito non significa solo promuovere equità, significa promuovere crescita". Il Capo dello Stato ha concluso con un caldo "benvenuto" nella nostra comunità ai nuovi cittadini partecipanti alla cerimonia: "a tutti voi che vivete in Italia i più sentiti auguri per un futuro sereno. A tutti gli adulti e, se mi consentite, a tutti gli anziani, l'invito ad impegnarsi perché questo futuro possiate averlo".

L'italia sono anch'io - Caritas Senigallia aderisce alla campagna


CAMPAGNA PER I DIRITTI DI CITTADINANZA E IL DIRITTO DI VOTO PER LE PERSONE DI ORIGINE STRANIERA
Il manifesto a cui aderire
Le persone di origine straniera che vivono in Italia sono oggi circa 5 milioni (stima Dossier Caritas Italiana
Fondazione Migrantes al 1° gennaio 2010), pari all’8 % della popolazione totale. Di questi un quinto circa
sono bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Nati in gran parte in questo Paese, solo al compimento della
maggiore età si vedono riconosciuto il diritto a chiederne la cittadinanza. Il luogo di provenienza dei loro
genitori è lontano, spesso non ci sono mai stati. A loro, alle loro famiglie, vengono per lo più frapposte
soltanto barriere. Limitazioni insormontabili e ingiustificate, che danno luogo a disuguaglianze, ingiustizie e
persecuzioni.
L’articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce il principio dell’uguaglianza tra le persone, impegnando lo
Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano il pieno raggiungimento. Ma nei confronti di milioni di
stranieri questo principio è disatteso.
Noi, uomini e donne che considerano l’uguaglianza valore fondante di ogni democrazia e la decisione di
persone di origine straniera di diventare cittadini/e italiani/e una scelta da apprezzare e valorizzare, siamo
convinti che la battaglia per il riconoscimento dei diritti di ogni individuo sia decisiva per il futuro del nostro
Paese.
Tutti e tutte dobbiamo assumercene la responsabilità e operare perché l’Italia sia più aperta, accogliente
e civile.
Per questo ci impegniamo a:
1. Promuovere in ogni ambito l’uguaglianza tra persone di origine straniera e italiana.
2. Agire a tutti i livelli affinché gli ostacoli che impediscono la piena uguaglianza tra italiani e stranieri
vengano rimossi, determinando le condizioni per la sua concreta realizzazione.
3. Promuovere la partecipazione e il protagonismo dei migranti in tutti gli ambiti sociali, lavorativi e
culturali. Siamo infatti convinti che esercizio della cittadinanza significhi innanzitutto possibilità di
partecipare alla vita e alle scelte della comunità di cui si fa parte.
4. Avviare un percorso che porti alla presentazione in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa
popolare:
- una proposta di legge che riformi la normativa sulla cittadinanza, aggiornando i concetti di nazione e
nazionalità sulla base del senso di appartenenza ad una comunità determinato da percorsi condivisi di
studio, di lavoro e di vita.
- una proposta di legge che riconosca ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettorali locali,
quale strumento più alto di responsabilità sociale e politica.
A sostegno di quanto proposto, ricordiamo che la Convenzione europea sulla Nazionalità del 1997 già
chiedeva agli Stati di facilitare l’acquisizione della cittadinanza per “le persone nate sul territorio e ivi
domiciliate legalmente ed abitualmente”.
Sentiamo l’urgenza di riportare il tema della cittadinanza all’attenzione dell’opinione pubblica ed al centro
del dibattito politico; per farlo, intendiamo impegnarci con una raccolta di firme e l’organizzazione di eventi
e iniziative capaci di sollecitare organizzazioni e singoli a dar vita ad un movimento trasversale e unitario
sul tema del diritto di cittadinanza.
Facciamo appello alle Istituzioni, alle forze politiche e sociali, al mondo del lavoro e della cultura, a tutte le
persone che vivono in Italia, affinché ognuno svolga il ruolo che gli compete per costruire un futuro di
convivenza, giustizia e uguaglianza in cui a ogni individuo che nasca e viva nel nostro Paese sia consentito
di essere a tutti gli effetti cittadino/a italiano/a.


Info
www.litaliasonoanchio.it , info@litaliasonoanchio.it
tel. +39 348 655 4161

Incontri a Castelleone


Anche quest’anno l’Azione Cattolica della parrocchia di Castelleoene di Suasa e in particolare il gruppo dei giovanissimi e giovani, ha iniziato il suo cammino pastorale e l’ha voluto fare dando voce a quelle che sono le povertà dei nostri giorni.
Un tema impegnativo, per certi versi scomodo da trattare, che è stato discusso nel circolo parrocchiale durante i due incontri che si sono tenuti il 21 e il 28 ottobre scorsi e che hanno avuto come protagonisti i volontari della Caritas di Senigallia.
 
Durante il primo appuntamento abbiamo cercato, grazie all’aiuto dei giovani del servizio civile e alla loro responsabile Lucia Durazzi, di dare un nostro significato alla parola “povertà”, riflettendo anche su come, troppo spesso, ci si limiti a un’idea di povertà solo economica e non si pensi invece a quella dei valori, degli affetti e di tutto ciò di cui una persona ha bisogno per essere definita tale.
Questo incontro si è poi impreziosito delle testimonianze dirette dei ragazzi del servizio civile dalle quali è emerso come questa esperienza li abbia cambiati profondamente offrendo loro la possibilità di conoscere e vivere situazioni più o meno lontane dalla loro quotidianità che li hanno resi più maturi e consapevoli delle vere esigenze delle persone.
 
Per il secondo appuntamento invece, è stata Silvia Artibani, coordinatrice di una delle strutture di accoglienza della Caritas Diocesana, a condividere con noi la sua esperienza raccontandoci tutte quelle piccole ma grandi, brevi ma intense storie di vite di persone che non vivono nel benessere, che soffrono per disagi familiari. Storie di ragazze madri, abusi e sfratti, raccontate per dar voce a queste persone, uomini e donne che si trovano a vivere per strada.
È stato interessante e di grande impatto soprattutto perché ci fa comprendere che anche nelle nostre zone esistono queste problematiche ed è inutile far finta di non vederle, anche perché secondo quanto riportato dai sondaggi svolti, nonostante il lavoro dei volontari, queste persone che necessitano di aiuto vanno via via aumentando.
Il lavoro svolto dai volontari è già di per sé eccezionale. Dare disponibilità per vedere un sorriso, aiutare per rendere la via altrui migliore è la base per cambiare il mondo, “perché dalle piccole cose di ogni giorno è possibile modificare il mondo di ogni giorno” come ricorda la stessa Silvia.
 
Naturalmente è per tutti la possibilità di entrare nel mondo della Caritas e fare esperienza personale attraverso AVS (Anno di Volontariato Sociale), EVS (Esperienza di Volontariato Sociale),VO.LI e VO.LA (Volontariato Libero e Volontariato LAvoro) e SCV (Servizio Civile Volontario) che sono tutti progetti posti su misura nel tentativo di avvicinare persone a problematiche che possono essere risolte aiutandosi, sostenendosi e facendo vedere a coloro che soffrono che possono contare su qualcuno che neanche li conosce realmente ma a cui basta vedere un loro sorriso per sentirsi utile o quanto meno realizzato nella vita perché sa di aver cambiato il mondo, di averlo migliorato.
 
Due incontri, dunque, che hanno dato la possibilità a noi giovani e giovanissimi, di renderci conto come situazioni anche di disperazione e forte criticità siamo molto spesso un qualcosa di molto vicino, e di riflettere sul fatto che con un pizzico di altruismo e di apertura gratuita verso l’altro, anche noi possiamo fare molto senza magari accorgercene.
 
 
Nicola Olivieri e
Andrea Testaguzza