mercoledì 20 giugno 2012

Giornata Mondiale del Rifugiato - Contributo di Caritas Italiana


Giornata Mondiale del Rifugiato – Roma 20 giugno 2012

Oliviero Forti – Caritas Italiana


Ringrazio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per avermi concesso, a nome del tavolo asilo (di cui fanno parte numerose organizzazioni di tutela oggi presenti), l’opportunità di contribuire a questa importante celebrazione. 

La mia breve riflessione prende le mosse da una figura del diritto romano, quella dell’homo sacer, un'espressione latina che tradotta letteralmente significa l’uomo sacro. Colui che è tale non in quanto essere divino ma, al contrario, è un uomo soggetto al giudizio degli dèi. La sacertà è una sorta di pena religiosa, comminata a colui che agiva in modo tale da mettere in pericolo i rapporti di amicizia tra la collettività e gli déi, i quali garantivano la pace e la prosperità della civitas. Incrinare tale rapporto "sacro", tra società e déi, 
significava porre in pericolo la stessa sopravvivenza della collettività. Per questo la vita di un homo sacer era priva di valore sia umano che divino. 

Gli atti di sacertà, quando posti in essere, erano considerati tanto gravi da non poter essere puniti neppure dai cittadini, ma unicamente dagli déi. Il reo, quindi, non si vedeva comminare una pena, ma veniva isolato dal gruppo, abbandonato da chiunque. 

Quella dell’uomo sacro è, evidentemente, una metafora della società moderna dove la legittimazione dello spazio politico, dei confini statuali, è spesso costruita sull’esclusione degli uomini sacri, di coloro che Bauman arriva a chiamare i rifiuti contemporanei, ovvero persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. Mi riferisco agli esuli, ai richiedenti asilo e ai rifugiati. La modernità, dice Bauman, è luogo di scarti umani, quelli che mal si adattano al modello progettato, al modello di Stato chiamato ad assicurare il benessere sempre e comunque. 

Sul binomio di opposizione e di esclusione si è costruita l’identità statale, secondo una coincidenza tra identità di popolo e confini dello Stato, entro cui questo stesso popolo cresce e sviluppa la propria coesione escludente. 

Lo Stato contemporaneo rivendica ancora oggi, in un contesto globalizzato, la pretesa del diritto di esenzione, con la volontà di poter salvaguardare la propria progettualità e la propria esistenza. Ma tale convinzione è fittizia in quanto lo Stato si trova impossibilitato a garantire le sicurezze economiche e 
lavorative dei cittadini (la crisi ne è testimonianza viva), quando poi non deve addirittura scontrarsi con entità sovranazionali che ne limitano il raggio di azione. 

Vien da sé il riferimento alla sentenza CEDU sul caso Hirsi ed altri: uno Stato, quello Italiano, che nella pretesa di salvaguardare la propria progettualità e la propria esistenza, deroga al diritto interno ed internazionale, respingendo coloro che incarnano tutto ciò che i nativi temono e che suscita loro un 
profondo disagio in quanto specchio di quella fragilità umana che noi preferiremmo non ricordare. Nonostante il nostro paese, per quei respingimenti, sia stato condannato dalla CEDU, purtroppo nulla sappiamo circa l’accordo tra Italia e Libia di cui abbiamo, invece, una flebile traccia nel processo verbale recentemente pubblicato dalla stampa nazionale da dove non si evince alcun riferimento circa le garanzie per i richiedenti asilo, né l'inserimento di disposizioni che vincolino in modo più stringente ogni programma di cooperazione al rispetto del diritto internazionale ed europeo sulla tutela dei rifugiati e dei diritti umani. 

Siamo convinti, invece, che la previsione di un supporto alle nuove autorità libiche nel dotare il paese di un ordinamento giuridico conforme agli standard internazionali in materia di diritti dell’uomo e il sostegno, anche attraverso interventi di cooperazione, allo sviluppo di sistemi di protezione adeguati nei confronti dei rifugiati e delle vittime di tratta, debba costituire una priorità nei rapporti di collaborazione tra i due paesi. 

Purtroppo con i respingimenti si è ribadito quel principio di sicurezza tanto caro ad un potere politico in cerca di legittimazione. I governi, privati dai processi di globalizzazione delle loro prerogative statuali, catalizzano la loro forza ed attenzione su bersagli che possono contrastare più facilmente come i migranti, gli esuli, i rifugiati, contro cui possono scaricare le ansie e i timori derivanti da processi globali su cui lo Stato ormai non ha più alcun potere di determinazione, a partire dall’economia e dal lavoro. 

Eppure quei processi globali, che non si riesce più a governare come entità nazionali, sono alla base dei flussi che vedono migranti e rifugiati spostarsi numerosi sul nostro pianeta, in cerca di protezione e di risposte. 

Lo scorso anno ne abbiamo accolti, a seguito delle note vicende nord Africane, oltre 55 mila, in uno sforzo congiunto tra istituzioni e privato sociale che va certamente ricordato e sottolineato. Ma è giunto il momento di andare oltre, di superare quella che fino a ieri era un’emergenza e che oggi rischia di trasformarsi in un definitivo fallimento del sistema. 

Le soluzioni per affrontare con determinazione questa empasse sono state più volte ricordate alle istituzioni competenti e rimaniamo in attesa di presentarle come tavolo asilo, che qui oggi rappresento, direttamente al Ministro Cancellieri. 

Innanzitutto il primo passo da fare è

a) rilasciare un permesso di protezione umanitaria/temporanea, a coloro la cui domanda è stata rigettata, convinti che anche l’Europa capirebbe questa scelta dettata innanzitutto dal buon senso; 

b) dare garanzia di continuità ai percorsi di accoglienza (e quindi ai relativi finanziamenti) fino al 31 dicembre 2012. La prosecuzione delle misure di accoglienza e il rilascio dei permessi di soggiorno per motivi umanitari 
non sono aspetti tra loro indipendenti, ma rispondono alla medesima logica: quella di supportare con misure appropriate il superamento dell'emergenza. Le misure di accoglienza per i profughi dal Nord Africa, infatti, non dovrebbero più limitarsi, come purtroppo è avvenuto in molti casi, ad una mera ospitalità, ma vanno strutturate in modo da essere funzionali a sostenere una progressiva autonomia abitativa e lavorativa delle persone accolte. 

c) garantire l'assorbimento nel sistema SPRAR dei programmi/progetti che durante l'emergenza Nord-Africa hanno garantito standard idonei di tutela e hanno concretamente dimostrato di rispondere ai requisiti 
previsti dallo stesso SPRAR.

In generale ribadiamo con forza che il caotico e costoso affastellarsi di interventi straordinari di emergenza, avvenuto nel 2011 e 2012, solo in minima parte può essere ricondotto ad un effettivo aumento delle domande di asilo (che pure c'è stato), ma è diretta conseguenza delle carenze strutturali del sistema d'asilo italiano, da anni sottodimensionato rispetto alle reali esigenze dell'accoglienza dei richiedenti asilo e del tutto inidoneo. Appare sempre più urgente che l'Italia si doti di un sistema di accoglienza efficiente che sia in 
grado di gestire la protezione dei richiedenti asilo e i percorsi di inclusione dei titolari di protezione internazionale o umanitaria, specie nelle grandi aree metropolitane, attraverso mezzi e procedure ordinarie. 

Crediamo che investire in un sistema di accoglienza in grado di restituire al richiedente asilo e al rifugiato la sua dignità di persona umana, significhi far transitare il suo destino dalla condizione di uomo sacro, l’homo sacer di romana memoria, alla sacralità dell’uomo. Non più, dunque, l’indesiderato, il reietto a cui le società moderne chiudono le porte e i porti (il caso di Lampedusa è paradigmatico), e per il quale progettano e creano luoghi “sicuri” frutto di una politica per la sicurezza non più sostenibile, ma il fratello per cui 
promuovere, come ci ricorda Benedetto XVI, “nuove progettualità politiche, economiche e sociali, che favoriscano il rispetto della dignità di ogni persona umana, la tutela della famiglia, l’accesso ad una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza”. 


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